Rischio da esposizione al radon e aggiornamento delle tabelle delle malattie professionali

da | 25 Novembre 2023 | 0 commenti

AUTORE
Ing. Giorgio Gallo, HSE Senior Specialist, RSPP esterno, Coordinatore per la Sicurezza nei cantieri temporanei e mobili, Formatore e CTP. Amministratore dell’Azienda SicurOtto S.r.l.

INCIPIT

Il D.M. 10/10/2023 che ha aggiornato le tabelle delle malattie professionali nell’industria e nell’agricoltura, ha inserito una importante novità: il tumore maligno del polmone da esposizione all’azione del radon nei luoghi di lavoro sotterranei

Gas Radon

L’esposizione al radon perché è un rischio per la salute?

Non tutti sanno (anzi, dovremmo dire che pochi sanno) che il radon è inquadrato ai primi posti, dopo il fumo, come causa per l’insorgenza di tumori polmonari nella popolazione. L’ufficio federale della sanità pubblica di Berna (CH), dichiara senza mezzi termini che è addirittura al secondo posto dopo il cancro dovuto al fumo.

L’istituto superiore della sanità, nei suoi studi epidemiologici per la sanità pubblica, ha rilevato che esiste una evidenza statisticamente significativa che il rischio di cancro al polmone aumenta all’aumentare dell’esposizione, da intendersi come concentrazione di radon nel tempo di esposizione1 . Il dato internazionalmente condiviso è che su un periodo di osservazione di circa 30 anni si ha un aumento del rischio relativo superiore al 10% per ogni esposizione che supera una concentrazione di 100 Bq/mc. Diversi studi hanno sostanzialmente confermato tale dato ed hanno anche evidenziato che esiste un effetto moltiplicativo dell’esposizione nel caso in cui sussista anche quella del fumo di tabacco, addirittura aumentando di 25 volte il rischio di incorrere nel cancro ai polmoni. Altro aspetto interessante è che non esiste una vera e propria “soglia” al di sotto della quale è possibile escludere totalmente il rischio, sebbene tendenzialmente un valore al di sotto di 150 Bq/mc viene ritenuto sufficientemente protettivo.

Ma cos’è il radon e come si misura?

Il radon è un gas radioattivo naturale che si forma nella crosta terrestre. È parte di una lunga catena di decadimento radioattivo che inizia con l’uranio presente nelle rocce e nel suolo, da quando si è formata la Terra. La presenza del radon non è rilevabile dagli esseri umani in quanto incolore e inodore, ma è misurabile a causa della sua radioattività. Il gas radon entra nelle abitazioni attraverso il suolo e in particolare tramite le strutture che circondano il suolo e che costituiscono i nostri ambienti di vita e luoghi di lavoro. Tracce di radon possono anche essere presenti nei materiali da costruzione e nell’acqua potabile (ma tali esposizioni sono generalmente molto deboli, a meno che non parliamo di esposizioni in particolari ambiti come quelli acquedottistici o idroelettrici).

Mentre il radon è di per sé un gas, i prodotti del suo decadimento radioattivo non lo sono e quindi si attaccano alle particelle di polvere nell’aria. Una volta respirati tali prodotti, le radiazioni da essi emesse possono danneggiare i nostri polmoni. L’esposizione al radon aumenta il rischio di cancro polmonare ed è proporzionale alla concentrazione di radon nell’aria che respiriamo e alla durata dell’esposizione.

Dobbiamo quindi considerare questa catena complessa di decadimento, che ha come capostipite l’Uranio. Quello che dà problemi dal punto di vista biologico è l’insieme dei figli di questo decadimento, in quanto tali elementi si “attaccano” facilmente al particolato presente nell’aria che noi respiriamo. Una volta che sono inalati e si depositano nei bronchi polmonari, hanno poi dei tempi di dimezzamento che durano variabilmente dai 20 anni a settimane o giorni, quindi su concentrazioni elevate e con l’atto della respirazione aumentiamo l’esposizione a questi radionuclidi. Ciò che in estrema sintesi succede è che durante il decadimento il nucleo si scinde e viene espulsa una particella alfa, quindi un nucleo dall’atomo di elio. Questi elementi sono capaci di generare “ionizzazione” della materia, cioè forze enormi che riescono a produrre nel breve tratto di spazio che percorrono una quantità di energia sufficiente a creare tante copie ioniche della materia rilasciando ioni, radicali liberi, finché queste particelle alfa non esauriscono questa energia cinetica. Quindi quando questa energia cinetica viene rilasciata nelle cellule polmonari, le eliche del DNA vengono facilmente spezzate da questa striscia di particelle producendo quindi mutazioni che possono evolvere nel cancro. E’ questo il motivo per il quale l’esposizione al radon è una esposizione ad una radiazione detta <<ionizzante>>. Esistono fondamentalmente due principali tipi di radiazioni: quelle ionizzanti e quelle non ionizzanti. Le radiazioni che emettono abbastanza energia da rompere i legami chimici e creare ioni vengono dette “ionizzanti”. Danneggiare il DNA di una cellula può provocare, come detto, delle mutazioni, che se trasmesse attraverso nuove generazioni di cellule in ultima analisi possono causare il cancro o altri effetti nocivi sulla salute. Le radiazioni ionizzanti possono essere in forma di particelle, come le particelle alfa o i neutroni, o di raggi, come i raggi gamma o i raggi X. Le radiazioni ionizzanti e non ionizzanti sono classificabili in base allo spettro elettromagnetico come riportato nell’immagine a seguire.


Figura 1Spettro elettromagnetico delle radiazioni ionizzanti e non ionizzanti, tratto dalla relazione della commissione europea, direzione generale Ricerca, Comunità europea (2005).

Il livello di esposizione o la quantità di radiazioni assorbite da un individuo, è espresso in millisievert (mSv) annui. Il sievert è l’unità di misura della dose equivalente di radiazione nel Sistema Internazionale. La dose equivalente misura in pratica il danno biologico provocato dalla radiazione su un organismo.

Il “sievert” è quindi una grandezza dosimetrica interna al corpo, che non è semplice da calcolare. Per caratterizzare l’esposizione in maniera più semplice, si parte dalle concentrazioni medie annue di radon in aria in un determinato ambiente e tale concentrazione si misura in Bq/mc. Il becquerel è l’unità di misura del Sistema Internazionale che esprime l’attività di un determinato radionuclide ed è definito come l’attività di un radionuclide che ha un decadimento al secondo. In sostanza esprime quanto è attivo un radionuclide: più becquerel esprimono che il processo è più «cinetico», quindi più energia che può determinare la ionizzazione. I Bq/mc esprimono quindi la presenza di una certa quantità di attività del radionuclide in un volume specifico (quindi considerando un radionuclide di origine naturale, tale unità di misura si usa per caratterizzare la radiazione all’interno di un ambiente). Chiaramente non è una grandezza dosimetrica che esprime direttamente il danno biologico, ma è una unità di misura che usiamo come forma semplificata di valutazione atteso che scientificamente abbiamo dati utili per poter asserire che oltre determinati valori di concentrazione così espressa può corrispondere una probabilità non irrilevante e sempre crescente di avere effetti nell’organismo.

Come si concretizza quindi l’esposizione al radon?

Per la maggior parte delle persone, la maggiore esposizione al radon si verifica in casa dove trascorrono gran parte del loro tempo. Pensiamo per esempio alla camera da letto che in buona parte è la stanza dove soggiorniamo tra le 6 e le 8 ore al giorno, se questa si trova in un ambiente ricco di radon e senza ricambi d’aria sufficienti, può essere una condizione di pericolosità data dall’esposizione continuativa e prolungata. Chiaramente anche i luoghi di lavoro al chiuso contribuiscono all’esposizione, ove tali luoghi abbiano una concentrazione importante. In linea generale, la concentrazione di radon negli edifici dipende da vari fattori:

  • la geologia locale, ovvero dal contenuto di uranio e dalla permeabilità delle rocce e dei suoli sottostanti (es. terreni vulcanici hanno maggiore presenza di radon, così come per esempio il tufo è un materiale molto permeabile al radon e quindi ne favorisce il passaggio)
  • i percorsi disponibili per il passaggio del radon dal suolo all’edificio, considerando tutti i vari punti di accesso. Teniamo a mente che il radon penetra negli edifici attraverso fessure nei pavimenti o tra le giunzioni pavimento-parete, dalle fessure attorno a tubi o cavi, dalla presenza di fori nelle pareti che comunicano con gli ambienti interni, la presenza di doppie pareti messe in comunicazione con gli ambienti interni, la presenza di pozzetti, scarichi, persino l’acqua porta con sé una dose di radon. Ovviamente, come si può intuire i livelli di radon sono generalmente più elevati negli scantinati, nelle cantine e negli spazi abitativi a contatto con il suolo.
  • l’uso di specifici materiali da costruzione (es. il tufo)
  • il tasso di scambio tra aria interna ed esterna, che dipende dalla costruzione dell’edificio, dalle abitudini di ventilazione degli occupanti, dalla tenuta all’aria dell’edificio. Purtroppo il tema del risparmio energetico è importante in tema radon, se pensiamo agli infissi che non consentono lo scambio con l’esterno.

Le concentrazioni di radon tra l’altro variano considerevolmente durante l’anno e durante le stesse giornate, in base alle caratteristiche geologiche del terreno, i cambi di temperatura e di umidità, i ricambi d’aria (anche gli stessi ritmi di apertura delle finestre che cambiano durante le stagionalità ecc.). È proprio a causa di queste fluttuazioni, che la concentrazione di radon deve essere misurata come media annua su due semestralità almeno. Infatti la concentrazione media annua è l’unico parametro che ha valore di legge, mentre i valori di breve periodo possono essere utili per fare delle previsioni, delle valutazioni di efficacia su interventi di mitigazione in corso d’opera, ma non sono opponibili in termini di legge. Quindi in estrema sintesi il metodo primario per combattere la concentrazione di gas radon in ambienti indoor è innanzitutto fare in modo che questo non possa entrare in quantità importanti all’interno degli ambienti, ed in subordine, ovvero ove non sia possibile evitarlo in alcun modo con interventi strutturali oppure ove questi interventi siano insufficienti, agire sull’areazione, ricambiandola in modo corretto e continuativo.

Figura 2Le possibili vie di accesso del radon negli ambienti di vita

Normativa e limiti applicabili, in sintesi

La normativa italiana vigente fino al 27 agosto 2020 è stata quella del D.Lgs 230/95 modificata ed integrata dal D.Lgs.241/2000. Questa è la norma quadro emanata in attuazione delle direttive Euratom che ha trattato tutti gli aspetti relativi ad utilizzo e alle esposizioni alle radiazioni ionizzanti sia per le sorgenti artificiali che quelle naturali (di cui fa parte l’esposizione al radon). La Direttiva 2013/59/Euratom ha introdotto in seguito nuove disposizioni relative al controllo delle esposizioni e questo sia per le sorgenti artificiali che naturali ed è stata recepita in Italia dal D.lgs.101/2020, che è in vigore dal 27 agosto 2020 e che ha abrogato le precedenti disposizioni2. Le novità introdotte dalla nuova normativa, hanno riguardato anche la protezione dal rischio radon nei luoghi di lavoro, da intendersi quale esposizione non di tipo professionale (i lavoratori non usano e non maneggiano sorgenti radiogene naturali), ma di natura ambientale dettata dalle particolari condizioni dei luoghi di lavoro (un lavoratore comune che occupa un ambiente che può presentare alti contenuti di radon in concentrazione volumetrica).

In base alla nuova normativa, i livelli massimi di riferimento sono diversificati per i luoghi di lavoro e per le abitazioni già esistenti e di nuova costruzione in base al seguente schema

  • 300 Bq/mc annui per abitazioni già esistenti entro il 31/12/2024
  • 200 Bq/mc annui per abitazioni costruire dopo il 31/12/2024
  • 300 Bq/mc annui per i luoghi di lavoro3

Viene altresì indicato che la dose efficacia assorbita è pari a 6 mSv/annui.

Tali valori vanno intesi quali concentrazioni medie annuali rilevate tramite almeno due semestralità, impiegando appositi rilevatori e per tramite di servizi di dosimetria riconosciuti secondo la normativa predetta.

Relativamente ai luoghi di lavoro, l’art.16 del D.Lgs.101/20 e ssmmii determina il campo di applicazione, pertanto le disposizioni si applicano certamente a:

  • Luoghi di lavoro sotterranei
  • Luoghi di lavoro in locali semisotterranei o situati al piano terra, localizzati nelle aree identificate dalle regioni come aree geografiche a rischio (alla data del presente articolo, poche regioni hanno classificato tali luoghi, come per esempio Regione Lombardia, Regione Sardegna, Regione Piemonte, pertanto in assenza di una determinazione tale punto non è applicabile arbitrariamente)
  • Specifiche tipologie di luoghi di lavoro identificate nel piano nazionale radon (ad oggi non ancora aggiornato, pertanto anche per tale punto non esiste alla data del presente articolo un elenco)
  • Stabilmenti termali

L’applicabilità in altri luoghi di lavoro, non contemplati dal D.Lgs.101/2020 e ssmmii, resterà una scelta del Datore di Lavoro nell’ambito della propria valutazione dei rischi.

Malattie professionali ed esposizione al radon

Con il DM 10/10/2023 la tabella delle malattie professionali nell’industria e la tabella delle malattie professionali nell’agricoltura, di cui agli articoli 3 e 211 del decreto del Presidente della Repubblica 30 giugno 1965, n. 1124, sono state modificate ed integrate secondo le più recenti evidenze scientifiche ed epidemiologiche. Tra tali aggiornamenti, sulla materia del radon spicca certamente quella che è riportata nella figura 3 seguente.

Figura 3Stralcio integrativo nelle tabelle delle malattie professionali sul tema radon

L’esposizione al radon in un ambiente sotterraneo viene inserita quale possibile causa diretta di una malattia riconosciuta (tumore malino del polmone), tra l’altro considerando un periodo di indennizzabilità illimitato dalla cessazione della lavorazione. Tale aspetto, unitamente alla riduzione dei livelli di riferimento per la concentrazione, evidenzia la grande attenzione che oramai deve essere prestata al tema del radon nei luoghi di lavoro a carico delle organizzazioni datoriali. Maggiori sforzi vanno profusi per la diffusione della massima conoscenza sulla materia, ancor di più a seguito delle varie novità normative inserite con il D.Lgs.101/20 e ss.mm.ii. sulle radiazioni ionizzanti naturali (ma anche quelle derivanti dall’impiego di materiali da costruzione o dalle attività NORM). Ma tanto c’è da fare anche in ambito non prettamente lavorativo, in quanto l’esposizione non si esaurisce certamente all’interno delle aziende, anzi, è proprio l’ambiente domestico che si presta ad una maggiore esposizione proprio a causa dell’atavica ignoranza perdurante su questo argomento e soprattutto in presenza di una edilizia vetusta e di difficile ammodernamento, specie in quei luoghi che per caratteristiche geologiche ed orografiche sono più ricche di radon nel sottosuolo.


Note

  1. https://www.epicentro.iss.it/radon/epidemiologia ↩︎
  2. E’ doveroso evidenziare che nel novembre del 2022, il governo interviene con il D.Lgs.203/22, per inserire delle modifiche e delle integrazioni considerate necessarie a garantire la piena conformità alla direttiva 2013/59/Euratom, perché intanto a causa di determinati temi era stata aperta una procedura di infrazione avviata a suo tempo dalla Commissione europea per il mancato recepimento della stessa ↩︎
  3. Con la normativa precedente, i limiti di concentrazione per i luoghi di lavoro erano posti come pari a 500 Bq/mc ↩︎

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